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Wednesday 11 September 2013

Curve pericolose: Laffer, il reddito disponibile e la spesa discrezionale



C’è stato sempre un gran dibattere nei circoli economici sulla validità della curva di Laffer. Da quando la crisi è scoppiata, però, l’Italia si è scoperta non solo avere 60 milioni di allenatori della Nazionale, ma anche almeno 30 milioni di esperti di politica economica, fiscale ma soprattutto monetaria; sul fatto che se va bene appena un decimo di questi sappiano contare come Dio comanda soprassediamo pure.

Per chi non fosse uno di questi ‘esperti’, la curva di Laffer, mettendo in relazione pressione fiscale ed entrate dello Stato, indica che passato un certo livello di pressione fiscale ad un aumento delle tasse corrispondono minori entrate per lo Stato stesso. Va da sé che questo non è dovuto, come alcuni credono, se non molto marginalmente all’aumento dell’evasione. Il fatto è proprio che troppe tasse deprimono l’economia.

Il livello di tasse passato il quale le entrate scendono, però, non è lo stesso in nazioni o periodi storici diversi, e questo ha portato alcuni a concludere che la teoria non valga nulla. E’ quindi il caso di ricordare come è nata la teoria e di vedere che cosa ne influenzi il punto di flessione. Laffer utilizzava la curva che ha preso il suo nome per prevedere gli impatti della politica fiscale nello stesso Paese ed in tempi relativamente brevi.

In altre parole il livello di tassazione è solo uno dei tanti elementi che influenzano quella che Keynes chiamava domanda aggregata, attraverso la componente che più o meno tutti chiamano reddito disponibile, e in particolare la spesa discrezionale. Questa rappresenta la spesa ‘libera’, ovvero quello che resta dopo aver effettuato le spese ‘necessarie’ (cibo, salute, casa, bollette). Per inciso l’influenza della tassazione sul reddito disponibile è vera anche senza presumere vera la teoria della domanda aggregata (e quindi anche per i non keynesiani), ma qui si entrerebbe in tecnicismi che è meglio evitare.

Ovviamente ci sono altri elementi che influenzano la spesa discrezionale. Questi elementi spiegano in gran parte i differenti livelli a cui la tassazione diminuisce nei diversi Paesi.

Un esempio pratico: in Scandinavia le tasse sono notoriamente alte, ma questo non deprime l’economia. Molto probabilmente questo avviene perché in quei Paesi i cittadini non devono spendere praticamente mai nulla per istruzione, salute e altro e quindi hanno comunque reddito disponibile relativamente alto.

L’Italia negli ultimi anni ha invece agito con una politica fiscale che non poteva non produrre effetti negativi: infatti lo Stato italiano ha allo stesso tempo alzato le tasse e ridotto i servizi. I cittadini si sono visti dunque ridurre il reddito disponibile non solo per effetto delle tasse, ma anche a causa delle maggiori spese per servizi che devono affrontare. Oltretutto l’aspettativa che è stata instillata è di ulteriori spese a carico dei cittadini stessi, che quindi tendono, quando possono, a mantenere una parte del loro reddito ‘sotto il materasso’, ad ulteriore diminuzione della spesa discrezionale.

Lorsignori a questo punto ribatterebbero che il problema non è quindi la spesa di Stato, e che basta spendere meglio per avere un’Italia di tipo svedese. Peccato che la Svezia stessa, insieme alla Danimarca, abbia capito per tempo che non poteva permettersi il livello di spesa corrente del passato, che era insostenibile per motivi demografici e di produttività, e da circa una decade abbia proceduto ad una forte ondata di liberalizzazioni e riforme strutturali che ha aumentato esponenzialmente la produttività e ridotto il peso dello Stato in rapporto al PIL anche mentre la media dei Paesi lo aumentava a causa della crisi. Risultato: economia svedese in crescita.

L’Italia ha già perso un’occasione d’oro quando, all’ingresso nell’Euro, la spesa per interessi è calata progressivamente dal 25% del PIL a livelli inferiori al 10%. Mantenendo i livelli di spesa uguali a prima, il rapporto sarebbe naturalmente calato. E’ più o meno quello che ha fatto la Svezia, dove dal 1993 al 2011 la spesa di Stato sul PIL è calata del 19%. Ma i politici di casa nostra hanno scelto di aumentare la spesa corrente, e il risultato è stato quello della Svezia pre 1993: crescita bassa e debito in aumento. Veramente geniale!

L’Italia a questo punto potrebbe prendere la strada della Svezia, oppure rischia di prendere quella della Grecia. Ai cittadini la scelta: prevarrà l’impostazione logica o, come spesso accade nel Bel Paese, quella ideologica?


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