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Thursday 18 September 2014

LA SCOZIA E L’EUROPA: FORZE ACCENTRANTI E SPINTE SEPARATISTE



Il referendum sull’indipendenza scozzese, comunque vada, può essere visto nel contesto più ampio di spinte separatiste (centrifughe) e accentranti (centripete) che hanno caratterizzato la storia europea almeno fin dal medioevo
Indipendentemente da come vada a finire la vicenda del referendum scozzese, questo è uno dei tanti episodi specchio di una ridefinizione degli assetti di potere tipici della dissoluzione degli imperi. Spinte simili si erano viste con la fine dell’impero romano e con la ridefinizione del Sacro Romano Impero avvenuta durante la cosiddetta Guerra del Trent’anni.
L’impero americano, che per Ian Bremmer e Niall Ferguson è stato ed è ancora per certi aspetti tale in tutto tranne che nel nome, ottenuta una posizione di egemonia mondiale (si ricorda la definizione di Fukuyama di ‘fine della Storia’ quando cadde il muro di Berlino), ha rifiutato la responsabilità del potere. Questo processo è culminato con l’inizio della presidenza Obama, che ha visto gli Stati Uniti ritirarsi dal Medio Oriente, il maggiore scenario di conflitto e l’area mondiale nella quale la ridefinizione degli assetti di potere è divenuta conseguentemente più evidente. In quest’area Iran e Turchia sembrano le potenze regionali più interessate ad un ruolo di guida della zona, insieme ad un gruppo non ben definito che vorrebbe ricreare un califfato di ispirazione politico-religiosa sul modello di quello esistente nel medioevo. Israele sembra invece per lo più intento a difendersi e non ad espandersi: non ci sono infatti segni di ricerca di alleanze locali da parte di quest’ultimo.
La seconda potenza mondiale, la Cina, anch’essa non sembra interessata ad avere un impero e al momento si sta affermando semmai come potenza regionale asiatica in espansione in Africa per ovvie ragioni di mancanza di materie prime.
In Europa ci sono due spinte opposte che ricordano la storia del Sacro Romano Impero e il cui equilibrio definirà la struttura dell’eventuale Europa Unita.
Da una parte ci sono spinte accentranti che portano ad una delega di parti del potere degli Stati-nazione ad un’entità centrale. Dall’altra, in parte per riequilibrare queste forze, c’è un crescente interesse verso una maggior indipendenza di parti degli Stati-nazione esistenti nel contesto dell’Unione Europea, ovvero una ricerca di un contatto diretto tra Bruxelles da una parte ed Edimburgo, o Barcellona, o Venezia dall’altra.
La messa in comune di alcuni poteri e la creazione di una confederazione o federazione (a seconda del livello di integrazione) a livello continentale ha senso in un mondo in cui esistono Stati-nazione grandi e potenti, quali Cina e USA, ma anche Russia, che rischiano di schiacciare con il loro peso specifico le piccole nazioni europee nella competizione mondiale. La necessità dell’Unione non è quindi economica ne’ finanziaria, come talvolta si sente dire dall’uomo della strada, ma geopolitica. In effetti a livello economico e finanziario sarebbe sufficiente un’area di libero scambio il più ampia possibile; quest’ipotesi sarebbe con ogni probabilità addirittura migliore, non avendo bisogno di lunghi cambiamenti costituzionali e limitando esclusioni o autoesclusioni dall’area per motivi politici.
Una prima considerazione è che al momento i poteri devoluti all’entità centrale sono quelli sbagliati. Sarebbe infatti il caso di accentrare difesa, politica estera e al limite (ma neanche necessariamente) le forze di polizia. Niente di tutto questa al momento sta accadendo a  causa di alcuni Stati che restano gelosi delle loro prerogative. Sarebbe forse meglio da qui in poi andare avanti con chi ci sta.
La seconda considerazione è che, in un’entità statale sovranazionale (alla faccia degli scettici la cosa è perfettamente possibile, come dimostrato dall’esempio che a parere di chi scrive sarebbe quello da seguire: la Svizzera) che si occupi di quanto sopra, entità amministrative di secondo livello superiori a circa 10 milioni di persone non sono efficienti: ci vogliono entità più piccole e meglio gestibili per far da contraltare ad uno Stato sovranazionale di circa 500 milioni di abitanti.
In questo senso ha perfettamente ragione di esistere un movimento che reclama un contatto diretto tra un’entità territoriale e/o culturale in qualche modo definita, meglio se con una storia pregressa, ed il costruendo Stato Centrale.
Comunque finisca dunque il referendum scozzese e, se ci sarà, quello catalano, tali riequilibri di potere si possono probabilmente rallentare ma non fermare.

Per approfondire:
Niall Ferguson, Colossus: the rise and fall of the american empire
http://www.amazon.it/Colossus-Rise-Fall-American-Empire/dp/0141017007/ref=tmm_pap_title_0?ie=UTF8&qid=1411030584&sr=8-1
Ian Bremmer, Every nation for itself, winners and losers in a G-zero world

http://www.amazon.it/Every-Nation-Itself-Ian-Bremmer/dp/067092105X/ref=tmm_pap_title_0?ie=UTF8&qid=1411030559&sr=1-1

Friday 25 July 2014

LORSIGNORI, L’INFLAZIONE AUSPICATA E LA DEFLAZIONE TEMUTA

O del perché in Italia i cittadini spendono meno di quel che vorrebbero

(pubblicata anche su http://www.arezzonotizie.it/blog_redazione/lorsignori-linflazione-auspicata-deflazione-temuta/)



Molte pagine sono state ultimamente occupate dalla diatriba sull’inflazione e su di un presunto pericolo di deflazione che, qualora si verificasse, addurrebbe infiniti lutti agli europei come l’Achille della traduzione montiana dell’Iliade.

Piccola ma forse non inutile divagazione: per quelli che abbiamo denominato Lorsignori, tuttologi portatori della sola cultura da Wikipedia, erede moderna ma ben peggiore di quella da Bignami, si tratta qui di Vincenzo, non di Mario. Consolerà forse Lorsignori sapere che anche l’autore non conosceva il greco e tradusse l’Iliade da una traduzione latina, tanto che per questo Foscolo lo apostrofò col titolo ironico di ‘traduttore dei traduttori’ che ricorda il superlativo aramaico (e. g. ‘Re dei re’) ma in questo caso s’intendeva in senso letterale.
Tornando però al tema dell’inflazione, non sorprende troppo che qualcuno si sia allarmato alla lettura dell’andamento dei prezzi, soprattutto perché è evidente che chi lo ha fatto si è limitato a leggere la prima riga del dato senza scendere a guardarne le componenti, ovvero senza brigarsi di comprendere quali fossero i prezzi in discesa.

Ebbene il motivo principale per cui i prezzi scendono, almeno per ora, è la diminuzione dei prezzi dell'energia, che l'area Euro, e ancor più l'Italia, per lo più importa. Questa diminuzione si riverbera nella diminuzione dei costi di trasporto e quindi anche di altri generi, particolarmente quelli alimentari sui quali il trasporto incide maggiormente.

Trovandosi a spendere meno per le necessità non è logico che le famiglie rinviino le intenzioni d'acquisto (aumenta la disponibilità per spesa discrezionale). E infatti non lo stanno facendo, guardando i dati di fiducia dei consumatori. Che poi la BCE non possa ammettere apertamente di intervenire sui cambi e debba trovare la scusa del pericolo deflazionistico è altra cosa. Che alcuni commentino su fenomeni che chiaramente comprendono poco (l'economia monetaria è materia molto complessa) allarmando se stessi ed altri, invece, fa sinceramente pena.

Il motivo per cui gli italiani non spendono quanto vorrebbero semmai, oltre all'aumento della pressione fiscale che, checché ne dicano i politici di turno, è ancora in corso come anticipato su queste colonne (http://www.arezzonotizie.it/art_generi/art_economia/gli-aggiustamenti-pil-moltiplicatore-inceppato/), è che gli italiani non capiscono più quanto dovranno pagare per i servizi essenziali (scuola, sanità etc.) dati i continui aumenti di ticket e balzelli vari. Questo crea un'incertezza che porta alla compressione della spesa discrezionale. Se le famiglie non sanno quanto dovranno spendere per i servizi essenziali, ovviamente spendono di meno e tengono i soldi 'sotto il materasso'.

Altra osservazioni interessante è che sia i costi in riduzione che le incertezze in aumento colpiscono più duramente le famiglie con redditi bassi, che dedicano alle spese per cibo e per trasporti una parte maggiore del loro reddito, e medio-bassi, considerate dallo Stato ricche abbastanza da pagare i servizi essenziali.

Per inciso le fasce di reddito basse e medio-basse sono anche quelle con propensione al consumo più alta.

La politica delle imposte, soprattutto sulla benzina, colpisce quindi i più poveri e fa fermare la spesa discrezionale, vero motore dell’economia che permetterebbe una ripresa dei consumi interni e quindi dell’occupazione. Lo Stato si è effettivamente sostituito al cittadino nelle decisioni d’acquisto, rendendo tra l’altro servizi sempre meno adeguati alle tasse pagate.

Tutto questo mentre i fondamentali economici mondiali migliorano e il fenomeno del reshoring (ritorno delle attività domiciliate all’estero per motivi di costo) è già in corso negli Stati Uniti, anche grazie ad una politica energetica che pare renderà gli USA indipendenti da forniture estere nei prossimi anni, ma anche in Europa. Questo è un treno che passa ogni 20-30 anni: se l’Italia non rende meno difficile la vita ai produttori di ricchezza lo perderà e rischierà il collasso mentre nell’Eurozona la disoccupazione risulta già in calo, seppur leggermente, e sia USA che Gran Bretagna sembrano ormai avviate verso una ripresa sostenibile.

Per approfondire:




Sunday 16 February 2014

La svalutazione competitiva, l’inflazione e la medicina di Pinocchio


Spesso c’è più verità nei classici, magari per bambini, che in molti libri ‘seri’, ammesso che si sappia leggerli, i classici.

Molti ricorderanno il famoso capitolo di Pinocchio in cui questi, ammalato, si rifiutava di prendere la medicina perché amara. Questo può essere equiparato alla situazione dell’Italia che, non accettando di aumentare la produttività né di ridurre la spesa, vuole un po’ di zucchero per convincersi a bere la medicina troppo amara. Lo zucchero può essere equiparato a nuovo debito, ma anche ad una bella svalutazione competitiva.

Il modello che Lorsignori additavano come quello da seguire per un’uscita dell’Italia dall’Euro, ovvero l’Argentina, è crollato, travolto dalle menzogne sul tasso d’inflazione propagate dal Governo Questo dopo che l’inflazione era andata abbondantemente fuori controllo (chiaro ora?) a seguito di politiche monetarie sconsiderate volte proprio alla svalutazione imposte dallo stesso Governo che controlla da tempo la Banca Centrale. Speriamo che adesso chi aveva dubbi sul motivo per cui le Banche Centrali devono essere indipendenti abbia finalmente compreso.

Ora dev’essere chiara una cosa: chi svaluta la propria moneta stampandola crea, ovviamente, inflazione.

Per evitare che questa vada fuori controllo non c’è che una strada: far sì che i salari reali salgano meno dell’inflazione stessa. Questo significa che i lavoratori si ritrovano a poter comprare meno con i loro salari di quanto non potessero fare prima della svalutazione.

Se qualcuno trova la differenza tra questo e un abbassamento dei salari nominali con inflazione costante o quasi (svalutazione interna) o è bravissimo, e allora faccia almeno un esempio di Paese che abbia, grazie ad una svalutazione competitiva, creato ricchezza e posti di lavoro senza che l’inflazione aumentasse più dei salari o, più probabilmente, non ha capito di cosa si parla. Nel secondo caso è probabilmente un giornalista con laurea in lettere o in ‘scienze’ politiche che finge di essere un economista. In televisione ultimamente se ne vedono un paio, chiamati spesso ideologi di una parte di Lorsignori (non tutti gli appartenenti a questa categoria infatti votano per lo stesso partito, movimento o gruppo bocciofilo che dir lo vogliano).

La differenza tra un abbassamento dei salari reali attraverso l’inflazione e un abbassamento del salario nominale consiste solo nel fatto che la maggior parte della gente nel primo caso non ci fa caso. C’è una storia abbastanza nota della rana e dell’acqua bollita. Se mettiamo una rana nell’acqua bollita, questa salta e se ne va; se invece mettiamo la rana nell’acqua tiepida e poi accendiamo il fornello, questa si abitua pian piano alla temperature sempre più alte e finisce bollita. Questa sorte sarebbe quella che Lorsignori riserverebbero agli italiani, a meno che naturalmente non vogliano seguire la strada del loro modello argentino, con inflazione, povertà e delinquenza in aumento vertiginoso.

Signori: se ancora non fosse stato chiaro bisogna prendere la medicina delle riforme strutturali, diminuendo drasticamente la burocrazia che rende impossibile creare ricchezza e difende, effettivamente, solo chi è già nel mercato, con la scusa di proteggere posti di lavoro che alla fine vanno persi lo stesso, o per l’aumento di burocrazia e tassazione o per l’incompetenza gestionale degli amici degli amici, che se fossero in grado di competere non avrebbero bisogno di favori e protezioni.

Speriamo vivamente che coloro che finora hanno propugnato l’uscita dall’Euro e la svalutazione prendendo come esempio l’Argentina abbiano la decenza di cambiare spacciatore prima di aprire di nuovo bocca, dopo che in varie occasioni moltissimi, compreso il sottoscritto, li avevano invitati a leggere i dati e non la propaganda. Purtroppo sembra di essere tornati indietro nel tempo e di parlare della primavera di Praga a coloro che avevano letto solo la Pravda e, a normalizzazione avvenuta, si erano magari abbonati a Rude Pravo. Stavolta c’è un po’ di gusto ad affermare “l’avevo detto”, e si spera che Lorsignori ci mettano meno dei loro canonici 40 anni circa per capire di aver sbagliato.

Pinocchio, alla fine del capitolo, dopo aver bevuto la medicina si riprende e alla Fata Turchina che gli chiede perché si fosse fatto pregare tanto per prenderla, risponde:


"Egli è che noi ragazzi siamo tutti così! Abbiamo più paura delle medicine che del male."