Preferireste
vivere in una bellissima villa immersa in una campagna spettacolare priva di
infrastrutture essenziali come acqua e fognature oppure in un appartamento in
una zona tranquilla ma modesta con tutti i servizi di base che funzionano?
Fare business in
Italia oggi è come abitare nella bella villa sfarzosa dove mancano gli impianti
necessari. Infatti la giustizia civile è lentissima, aprire un’azienda richiede
estenuanti adempimenti burocratici e pagare le tasse è astrusamente complicato,
e questo senza neanche guardarne il livello.
Molti Paesi del
Centro e Nord Europa non hanno potenzialità non solo di stile di vita, ma anche
a livello di know-how artigianale e di innovazione (ebbene sì, anche di
innovazione, dato che l’Italia, nonostante manchi di alcuni servizi essenziali,
continua a competere in alcuni settori ad altissimo contenuto tecnologico,
dall’automazione e robotica alla meccanica di precisione, per tacere delle
corse auto e moto) ma aprire un’azienda richiede pochi giorni, pochi soldi e
pochi adempimenti burocratici, la giustizia civile arriva ad una sentenza in un
quarto del tempo che in Italia e quasi tutti gli adempimento periodici si fanno
online in pochi minuti.
Chiediamoci: cosa
diventerebbe l’Italia se avesse gli impianti di base che funzionano?
Ripartiamo da
qui; non si dica che l’efficienza non è roba da italiani, quando l’abbiamo
insegnata al mondo due volte: prima al tempo dei romani e poi a quello dei
mercanti del medioevo e del rinascimento.
Non
dimentichiamoci che la civiltà romana è quella che ha costruito molte
infrastrutture ancora funzionanti, o che sono state utilizzate come base per
altre più moderne, in tutta Europa.
La ferrovia
inglese è nata sui tracciati delle strade romane, tanto che la larghezza dei
vagoni rispecchiava quella di due cavalli di epoca romana, uno per ogni senso
di direzione. Alcuni acquedotti e fognature costruiti intorno a duemila anni fa
funzionano ancora, e non solo in Italia.
E non si dica neanche che il carattere di un
popolo non si cambia, quando è storicamente provato che sono le istituzioni che
fanno il comportamento.
Immaginiamo
infatti, come ha scritto lo storico Niall Ferguson, un esperimento: prendere
uno stesso popolo e dotarlo per una parte di istituzioni moderne ed efficienti,
e per l’altra di uno Stato invadente che programma tutto e che possiede banche
ed aziende industriali. Non dobbiamo chiederci cosa succederebbe:
quest’esperimento è già stato tentato in Germania dal dopoguerra al crollo del
muro di Berlino. E il risultato è esemplificato dalla produzione di auto: da
una parte Volkswagen e BMW, dall’altra le Trabant, oggetto di scherno e
barzellette in tutto l’ex blocco sovietico.
Pensiamo: cosa
sarebbe l’Italia se avesse tutto in funzione? Probabilmente somiglierebbe ad
una versione più agiata del Paese del dopoguerra, o ad una Germania con condizioni
meteorologiche migliori.
Solo che ci vuole
uno Stato che la smetta di controllare oltre le metà delle risorse, una
burocrazia snella ed efficiente ed un abbassamento del cuneo fiscale operato
attraverso la riduzione della spesa statale.
Per abbattere il
debito, poi, si può realizzare una parte del patrimonio dello Stato, sia
immobiliare che mobiliare, perché lo Stato non deve fare l’imprenditore. I
fondi così recuperati, però, devono essere utilizzati esclusivamente per la
riduzione del debito, e non per il finanziamento di spesa corrente né di altro
tipo. Abbiamo passato il limite della curva di Laffer, e a questo livello non
c’è impiego di denaro pubblico che superi in efficienza una riduzione delle
tasse, e l’interesse sul debito fa parte della spesa e va ridotto.
A quel punto
potremo, dopo un lavoro di almeno un decennio, vivere in una villa di lusso con
infrastrutture efficienti, e chi vive negli appartamenti ricomincerà a
prenderci come modello e ad investire qui. Nel frattempo però inizieremmo a
vivere meglio relativamente presto, dato che gli effetti benefici della
riduzione delle tasse sul lavoro si manifesterebbero in maggior reddito
disponibile che serve da benzina per l’espansione economica.
Bisognerebbe che
i politici tenessero conto di questo prima di varare programmi di spesa
destinati al fallimento da una pressione fiscale che induce i beneficiari di
questi interventi ad investire altrove. E magari a venire a visitare per le
vacanze le rovine del nostro castello, dove naturalmente non abiterebbero mai.