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Wednesday 29 May 2013

Recuperare i ‘perdenti della globalizzazione’: un imperativo etico, oltreché politico, indispensabile per una crescita sostenibile dell’Occidente


Qualcuno ha giustamente notato che un mondo globalizzato ed interconnesso sta diventando un’economia delle superstar. Questo significa che chi ha un talento di alto livello e/o un’idea migliore di tutte le altre trova adesso un potenziale mercato che prima non avrebbe potuto accedere se non con grande difficoltà.

L’esempio più immediato è un’app per smartphone: chi programma la migliore app in assoluto per, diciamo, prevedere il tempo, ha un potenziale mercato di miliardi di utilizzatori, e potrà guadagnare molto grazie alle pubblicità che riesce ad attirare. Naturalmente se lo stesso programmatore avesse creato un codice di valore comparabile anche un paio di decenni fa, non avrebbe potuto che aver accesso ad una frazione della clientela potenziale, e di converso dei guadagni.

Il rovescio della medaglia è che chi arriva anche solo secondo rischia di non avere nessuna fetta della torta a disposizione, dato che questa viene tutta accaparrata dal vincitore; figuriamoci poi chi arriva più in basso.

Lo stesso, anche se in modo meno pronunciato, vale ovviamente anche per altri tipi di talento, tra cui ad esempio quello manageriale e quello medico: un ottimo dirigente o un chirurgo eccezionale hanno oggi la possibilità di essere conosciuti in tutto il mondo in modo relativamente facile, e di spedire il loro curriculum ai quattro angoli del globo senza alcuna spesa grazie alla posta elettronica. Ammesso che conoscano la lingua locale, ma in alcuni casi basta addirittura parlare la lingua franca del mondo, ovvero l’inglese, essi possono trasferirsi dovunque vogliano per avere il massimo ritorno sulle proprie capacità.

Quindi la globalizzazione conviene molto a pochi: cosa succede agli altri? Chi ha talento e conoscenze medie in passato sarebbe comunque riuscito a guadagnarsi da vivere, ma oggi deve fare i conti con una concorrenza agguerritissima formata da lavoratori dei Paesi emergenti disposti a lavorare per una frazione di quello che richiederebbero un italiano o un francese. Se fino ad ora, oltretutto, questo fenomeno ha interessato soprattutto lavori a bassa specializzazione, adesso i laureati dei paesi emergenti stanno imparando anche alcune professioni di più alta gamma, come i servizi contabili e quelli legali: anche professionisti che fino a pochi anni fa erano relativamente al sicuro stanno quindi diventando a rischio.

I Paesi occidentali, quindi, stanno andando verso un mondo a due velocità: da una parte sempre meno persone che, grazie al proprio talento, diventeranno sempre più ricche, dall’altra un crescente numero di ‘perdenti’.

Alcuni ultra-liberisti potrebbero pensare che questo sia giusto: alla fine in questo modo il talento varrà progressivamente più delle parentele o della classe sociale di partenza, e alla fine chi merita meno avrà meno.

La tentazione di cadere in questo pensiero potrebbe però risultare fatale soprattutto alle economie occidentali, abituate ad un alto tenore di vita e ad istituzioni rappresentative.

La soluzione proposta in alcuni ambienti vicini a Lorsignori è però anche peggiore: innalzare barriere protezionistiche per mantenere i livelli raggiunti, infischiandosene del mondo. Questa soluzione è particolarmente dannosa in quanto porta ad una progressiva perdita di competitività di tutto il sistema chiuso, a danno soprattutto della creazione di ricchezza. Mantenere livelli di reddito non giustificati dalla capacità di produrre ricchezza, infatti, significa togliere a chi può produrla la possibilità di farlo, almeno in parte. Questa è la situazione che molti Paesi europei stanno vivendo adesso. Il meccanismo ricorda quello della Grande Muraglia, eretta in Cina per proteggersi contro le invasioni dei Mongoli con grande dispendio di mezzi e mantenuta con gran numero di guardie. Com’è noto i Mongoli aggirarono la muraglia e conquistarono la Cina.

Esiste dunque una soluzione diversa?

La risposta è sì, e non dobbiamo neanche guardare troppo lontano dall’Italia per trovarla.

Nelle decadi passate sia la Germania che, forse ancora di più, i Paesi scandinavi, hanno infatti attuato riforme strutturali che hanno permesso loro, nonostante la crisi, di continuare e crescere e a creare posti di lavoro. Questa formula ha dovuto superare l’idea di ‘tutto a tutti in cambio di niente’ per spostarsi verso programmi di sostegno al lavoratore invece che all’impresa e di educazione continua che mantenga le competenze ‘a prova di cinese’.

Il sistema attuale in Italia per chi perde il lavoro, ad esempio, è basato sulla Cassa Integrazione: questa essenzialmente protegge il posto di lavoro, e non il lavoratore, di imprese ormai non più competitive che spesso, infatti, finiscono per chiudere lo stesso dopo agonie più o meno lunghe. Chi guadagna da situazioni del genere sono imprenditori spesso incapaci di leggere il mercato, a scapito sia dei loro impiegati che della competitività del sistema, che invece di impiegare risorse per diventare più competitivo le spreca per mantenere una situazione esistente che, in periodo di cambiamenti epocali, non può essere difesa a lungo.

Molto meglio quindi concentrarsi sul lavoratore, come, anche se in modi diversi, fanno Germania, Svezia e Danimarca. Qui chi perde il lavoro riceve un reddito sostitutivo condizionato alla frequenza di corsi di riqualificazione il cui successo è tenuto sotto stretto controllo. In questo senso il lavoratore riceve un aggiornamento che, partendo dalle proprie capacità, le espande e le rende adatte a resistere alla competizione globale.

Chi chiede dignità non può volere qualcosa per nulla o accettare di essere pagato più di quello che produce. Può però chiedere di essere aiutato a guadagnare il giusto frutto del proprio lavoro, il che si fa rendendo il lavoro più produttivo.

Questo sistema, che ha dimostrato di funzionare bene, ha bisogno ovviamente anche di un ambiente di certezza e rapidità della giustizia civile e buon funzionamento della macchina burocratica: quindi mettere a posto questi aspetti per primi è importante per il successo di qualsiasi iniziativa.
E’ anche imperativo per tutti, anche coloro che hanno al momento capacità al passo con i tempi, mantenere un livello di competenze sempre all’altezza dei migliori standard, a pena di perdere molto del proprio reddito in tempi relativamente brevi.


L’alternativa è doversi rassegnare: nonostante grandi e costose muraglie, il barbaro passerà. Siamo ancora in tempo per evitarlo; pensiamoci.