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Monday 4 February 2013

LUCA PACIOLI E IL BILANCIO DELLO STATO



Dalla terra di Luca Pacioli, considerato il padre della Partita Doppia, non può non levarsi un grido di dolore per ciò che ultimamente si legge ed ascolta in campagna elettorale. Gli spin doctors di tutto lo spettro politico, con pochissime eccezioni, paiono infatti intenti a far credere al popolo votante (o più precisamente votando, dato che ancora non siamo alle elezioni) che Stati Patrimoniali e Conti Economici siano entità separate e senza connessione alcuna. Errori che farebbero bocciare un candidato all'esame di Ragioneria di qualsiasi facoltà di Economia, infatti, vengono presentati come verità incontrovertibili.

In particolare è uno strafalcione sulle consistenze del patrimonio dello Stato a far rigirare nella tomba il povero Fra’ Pacioli (che tra l’altro insegnò anche matematica all’incomparabile Leonardo). I turlupinatori della pubblica opinione, in stile tipico politichese, presentano infatti una premessa vera ed una parzialmente vera, facendo risultare dal sillogismo una conclusione inerentemente errata.

Prima premessa: ha poco senso rapportare il Debito (grandezza di stock che appartiene allo Stato Patrimoniale) con il PIL (assimilabile all’Utile di un’azienda, che invece è un flusso e appartiene al Conto Economico).

Seconda premessa: se quindi il patrimonio dello Stato (le Attività dello Stato Patrimoniale) sono sufficientemente superiori al debito (le passività) la situazione è sotto controllo.

Conclusione: l’Italia non ha un problema di debito.

Peccato che manchi un pezzo dalla seconda premessa. L’effetto di questa mancanza risulta tragicamente evidente guardando proprio quanto incidono gli interessi sul debito pubblico come percentuale delle entrate dello Stato.

Sappiamo bene che la spesa per interessi sul PIL in Italia è alta. Negli anni 70 copriva circa un quarto delle entrate. Dopo l’entrata nell’Euro la percentuale è scesa progressivamente, per arrivare nell’intorno del 10%. La Germania però paga meno del 6% (dati Banca Mondiale del 2009-10). In  Italia nel 2011 il Governo spendeva circa il 49% del PIL, in Germania il 43.7% (dati dall’Index of Economic Freedom, Heritage Foundation e Wall Street Journal). La differenza però non tiene conto  del fatto, alquanto noto, che il PIL include una stima dell’economia sommersa, e che quella italiana è ben superiore a quella tedesca.

Perché dunque questa differenza di trattamento? Dobbiamo credere ai populisti e concludere che c’è un complotto dei tedeschi con l’elmo a punta per affossare l’Italia così da comprarne i pezzi a poco prezzo?

Non proprio. Come chiunque che sia in possesso di basi decenti di analisi di bilancio non può ignorare, infatti, situazioni simili a questa esistono in moltissime aziende. Queste occorrono solitamente quando un’azienda finanzia con debito a breve termine attività di lungo. Il debito pubblico ha una durata media intorno ai 7 anni, anche se si sta cercando di allungarla.

In sostanza il pezzo che manca alla seconda premessa è che attività e passività devono avere durate comparabili: non si finanziano attività a lungo termine con debito a breve. Inoltre manca un altro pezzo importantissimo: non ci si indebita per spendere. Se lo Stato avesse seguito la regola di buona gestione familiare secondo cui non si spende più di quel che si guadagna se non per investire (e avesse fatto a meno di farlo durante le espansioni) non avremmo i problemi che abbiamo e Keynes (ma non i keynesiani) sarebbe stato seguito alla lettera.

Va da se’ poi che per evitare di spendere più di quanto lo Stato incassa, questo ha di fronte due strade: alzare le entrate o abbassare la spesa.

Dovrebbe essere chiaro a questo punto che alzare le tasse non è una buona idea, e che è di molto preferibile abbassare la spesa. Se poi vogliamo un’espansione economica, questa differenza deve andare a ridurre un fardello di tasse tra i più alti in assoluto.

Il modo per abbassare la spesa per interessi è poi realizzare una parte delle attività dello Stato e dedicare l’incasso al pagamento del debito a breve termine.

Questo, insieme a non spendere più di quanto si incassa, metterebbero a posto i conti dello Stato in maniera relativamente rapida e migliore delle alternative in termini di sacrifici per gli italiani.