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Friday 16 September 2011

Napoleone, la leadership e i politici di oggi


Napoleone, per gestire al meglio il suo esercito, aveva diviso i soldati lungo due dimensioni.
La prima dimensione era la loro intelligenza, secondo la quale i soldati erano distinti tra intelligenti e stupidi.
La seconda dimensione considerava se il soggetto fosse attivo o pigro.
I soggetti intelligenti e attivi erano utilizzati come ufficiali.
Quelli intelligenti e pigri come generali, in quanto il generale ha bisogno di visione d’insieme e deve saper delegare: non può rischiare di non vedere la foresta per guardare l’albero.
I soggetti stupidi e pigri venivano utilizzati come soldati di fanteria, in quanto adatti a prendere ordini senza porsi domande (in passato si utilizzava l’efficace ma cruda espressione ‘carne da cannone’).
Coloro che erano stupidi e attivi, infine, erano attesi dal plotone d’esecuzione perché pericolosi.
Un corollario del famoso generale corso era che era meglio un generale stupido e pigro di uno attivo ed intelligente, dato cha la pigrizia impediva almeno di fare danni eccessivi. Un buon ufficiale promosso a generale, invece, rischiava di sprecare vite umane e perdere battaglie per la sua irruenza: non tutto si può infatti risolvere con una carica di cavalleria.
Guardando la classe politica della scena internazionale non sembra ci sia un grande sfoggio di capacità di leadership e visione d’insieme.
Potremmo dire che, in generale, i politici di oggi sono attivi; una minoranza, forse, potrebbe essere intelligente.

Friday 9 September 2011

La Germania e l'Apprendista Stregone

Prima di entrare nel merito della mancanza di leadership tedesca, che è poi l’argomento del post, conviene fare una premessa: le mancanze degli altri non scusano l’incapacità della classe politica italiana degli ultimi 40 anni di fermare l’aumento della spesa pubblica e mettere in piedi le riforme necessarie per stimolare la crescita. Il grafico qui sotto proviene da uno studio di Banca d’Italia, organismo non di parte (Francese, M, Pace, A. ‘Il debito pubblico italiano dall’Unità a oggi. Una ricostruzione della serie storica’, Ottobre 2008. Il testo completo è scaricabile gratuitamente qui: http://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/econo/quest_ecofin_2/qef_31/QEF_31.pdf).
Si nota chiaramente come il debito abbia cominciato a salire oltre il 40% del PIL intorno al 1971. In questo periodo c’erano i cosiddetti Governi di Solidarietà Nazionale, a guida democristiana con appoggio esterno del PCI. Dato che i comunisti non potevano avere ministri, probabilmente per l’inquietudine che ciò avrebbe provocato in America, ottennero concessioni di spesa che hanno fatto contenti i loro iscritti a spese però dei loro figli e nipoti, che ora si trovano a pagare il conto (vedi post precedente). E’ stato quindi il consociativismo di marca sessantottina di centro-sinistra, iniziato con Andreotti e continuato con Craxi, ad iniziare una spirale di spesa, debito e mancate riforme che sarebbero costate in termini elettorali di cui oggi viene richiesto il corrispettivo. Speriamo che il pensionamento della generazione della spesa la interrompa.
E’ chiaro dunque che, qualunque cosa si decida a Berlino o Bruxelles, il tempo delle riforme impopolari non è rinviabile, a pena di tassi punitivi che rischiano di mandare fuori controllo le finanze pubbliche. E ora alla Germania.
Quando Goethe scrisse la sua famosa ballata Der Zauberlehrling (L’apprendista stregone) non immaginava forse che la morale in essa contenuta sarebbe stata dimenticata proprio dalla stessa Germania che tanto lo riverisce come poeta.
La Germania sembra oggi intrappolata nella maledizione dell’apprendista stregone, in cui il desiderio del maldestro mago diventa realtà ma il protagonista deve vivere con le conseguenze del suo potere ed affrontare le ire del Maestro al suo ritorno.
I tedeschi infatti hanno creato un sistema di export ad alto valore aggiunto, quindi non facilmente attaccabile da Paesi a basso costo. Questo sistema si è però tradotto in un grande successo anche per motivi di politica monetaria.
Con l’introduzione dell’Euro, infatti, i principali partner commerciali della Germania si sono trovati ad assorbire importazioni tedesche senza il contraltare di un apprezzamento del Marco. In altre parole, e semplificando al massimo, in tempi di valute indipendenti, se un francese comprava un’auto tedesca, comprava allo stesso tempo Marchi e vendeva Franchi con conseguente apprezzamento del Marco che rendeva la prossima auto più costosa in Francia.
Dopo l’introduzione dell’Euro questo non accade più: il francese compra l’auto ma la prossima auto non costa di più in Francia dato che la valuta è la stessa.
Il secondo effetto positivo per la Germania viene da una politica monetaria della Banca Centrale Europea che ha, per ora almeno, assecondato le richieste di Berlino in tutto e per tutto. La BCE ha infatti mandato di controllare l’inflazione, ma all’inizio del millennio (anno 2000 e seguenti) c’era un boom in Paesi periferici (soprattutto Irlanda e Spagna) e i tassi sono rimasti accomodanti, guarda caso proprio in un periodo in cui la Germania non cresceva molto.
Adesso che i periferici hanno posto in essere una politica fiscale restrittiva (lo Stato spende meno e tassa di più) ci sarebbe bisogno di una politica monetaria espansiva (la combinazione che hanno in Inghilterra per capirsi) ma i Tedeschi hanno ancora incubi dei francobolli da 1 milione di Marchi a causa dell’inflazione che costò la fine della Repubblica di Weimar e l’avvento del nazismo: quindi la BCE non può creare inflazione.
Fin qui la prima parte della storia dell’Apprendista Stregone. La seconda sta iniziando proprio adesso.
Infatti circa i 2/3 delle esportazioni tedesche vanno nella zona Euro. Il valore di queste esportazioni verso l’area Euro è di circa 650 miliardi di Euro all’anno. Avendo forzato una stretta fiscale nei mercati di esportazione, però, la Germania si trova a fronteggiare un calo della domanda per i propri beni, che si sta traducendo in minori esportazioni già adesso.
Cosa può fare quindi Berlino?
Essenzialmente si deve decidere dato che le strade, semplificando come al solito, sono essenzialmente 2:
1-      Maggior integrazione fiscale: se la Germania vuole continuare a godere dei benefici all’export (che proviamo a quantificare sotto) deve accettare questa strada, che poi è quello per cui è nato l’Euro.
Questo costerebbe alla Germania, nel caso peggiore, un 1.5-2% del PIL, ovvero circa 48 miliardi l’anno.
La stima effettuata dall’istituto tedesco IFO è pessimistica, ottenuta semplicemente come media ponderata dei tassi pagati da tutti i Paesi dell’Eurozona. La stima infatti non tiene conto di benefici derivanti da maggior liquidità di un mercato obbligazionario comune e, nella migliore delle ipotesi, passaggio dell’Euro a valuta di riserva mondiale . Nel secondo caso con ogni probabilità i tassi pagati sarebbero in linea con quelli della Germania se non inferiori.
2-      La Germania lascia l’Euro, probabilmente con Austria, Olanda, Finlandia e forse Francia, ma Parigi con ogni probabilità risponderebbe picche, dato che di certo i numeri li conoscono anche lì.
Quest’operazione porterebbe a dover subito ricapitalizzare le banche tedesche: il costo stimato è di 21 miliardi. Questo però sarebbe al limite un pagamento una tantum: il peggio verrebbe da una perdita di competitività sulle esportazioni.
Ricordiamo infatti che il surplus della bilancia commerciale tedesca è di circa 150 miliardi di Euro all’anno (dato Eurostat del 2010).
Molti economisti pensano che, se la Germania tornasse al Marco, si avrebbe un apprezzamento della valuta tedesca del 30-40%. Se il Marco si riportasse al suo valore stimato ce ne sarebbe abbastanza da mandare in deficit la bilancia commerciale (contando anche che il Marco si rafforzerebbe contro dollaro, essenzialmente svantaggiando Berlino in tutti i mercati mondiali), lasciando la Germania a fare quello che avrebbe dovuto da tempo, ovvero consumare una maggior percentuale di quello che produce, riducendo ulteriormente il surplus della bilancia commerciale. Il danno, secondo nostre stime, sarebbe intorno ai 190 miliardi nel primo anno ma poi resterebbe una minor competitività che richiederebbe tempo per essere riassorbita. Nel frattempo molto probabilmente ci sarebbe un aumento della disoccupazione in Germania: non è difficile che la cifra arrivi al doppio di adesso.
A quel punto ci sarebbe poca scelta, per contenere la ricaduta sull’occupazione, se non incrementare la spesa pubblica (non sostenendo però solo la produzione tedesca ma anche le importazioni) o effettuare un’espansione monetaria, con probabili spinte inflattive. Per gli incubi sul francobollo da un milione di Marchi ci sarebbe comunque la psicanalisi, altro export pangermanico di grande successo (Freud era austriaco, Jung svizzero ma entrambi erano di lingua tedesca).
C’è naturalmente l’opzione che è stata seguita finora, ovvero non fare niente e aspettare tempi migliori.
Quest’opzione sta svanendo dato che i mercati, che hanno colto la contraddizione, stanno domandando di ‘vedere il bluff’.

Il Cancelliere Angela Merkel, munita di PhD in Fisica, dovrebbe capire almeno lei gli effetti dell’interesse composto, parenti stretti della funzione esponenziale che non può ignorare.
Prenda dunque la decisione che ritiene opportuna e mostri un po’ di leadership prima che il Maestro Stregone ritorni e bacchetti l’apprendista.